Questa pagina contiene il diario e le foto di un viaggio in USA che ho fatto per motivi di studio e ricerca, nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Ingegneria dell’Informazione che sto seguendo presso l’Università di Trieste. Il viaggio prevede le seguenti destinazioni:

  • 14 febbraio - 23 febbraio 2008: San Diego, California, sede del congresso SPIE Medical Imaging
  • 23 febbraio - 17 marzo 2008: Silver Spring, Maryland, presso il
    NIBIB/CDRH Laboratory for the Analysis of Medical Imaging Systems
    Division of Imaging and Applied Mathematics
    Office of Science and Engineering Labs
    Center for Devices and Radiological Health
    Food and Drug Administration
Novità: mi fermo fino al 3 aprile. Per Pasqua ho fatto una breve gita a New York City.

Potete trovare il diario dell’anno scorso all’indirizzo http://ggchome.altervista.org/california

Per chi non sa come funziona un blog: I messaggi vengono mostrati a partire dal più recente, quindi per leggere il diario in ordine cronologico bisogna partire dalla fine. Se volete scrivere un commento visibile a tutti i lettori, cliccate sull’apposito link alla fine di ogni giornata. Se non siete registrati, scegliete “Anonimo” in basso alla pagina dove c’è scritto “Scegli un'identità”, ma ricordatevi di scrivere il vostro nome nel testo del blog.

3 aprile 2008


La mia camera

Stasera alle 20:05 ho l’aereo per tornare in Italia. Il programma della giornata prevede di andare in laboratorio la mattina, quindi pranzare con Aldo, tornare a casa a prendere la valigia e andare all’aeroporto. Vorrei fare una foto di gruppo, ma Aaron dorme ancora di sasso e ieri sera era tornato a casa tardi. Mi dispiace andare via senza salutarlo; per fortuna dopo un poco si sveglia e, ancora un po’ assonnato, si prepara per la foto.


Foto di gruppo con Ellen, Aaron e Zen

Ellen mi dice che Zen vorrebbe venire in Italia con me, ma purtroppo non posso accettare perché sono già parecchio carico di bagagli. Chiudo la valigia, lasciandola pronta per quando andrò a prenderla, metto nello zaino le cose che mi servono in laboratorio, e metto in un sacchetto il latte e corn flakes avanzati per il pranzo. Saluto Ellen e Aaron, che non rivedrò più, quindi prendo per l’ultima volta la metropolitana e l’autobus fino al laboratorio.

Stamattina è in programma l’ultima phone conference. Le misure di ieri hanno suscitato qualche perplessità, quindi ne discuto con i colleghi italiani, prima da solo e poi con Aldo. Guardiamo i risultati delle misure dell’errore di quantizzazione, quindi facciamo un riassunto del lavoro svolto e qualche piano approssimato per il lavoro futuro. Terminata la phone conference, faccio qualche ultima misura, quindi saluto i miei colleghi.


La mia postazione: room 3130, carrel D


La terrazza del laboratorio

Per pranzo, Aldo mi porta in un ristorante giapponese a Chevy Chase che secondo lui è il migliore. Si intuisce che è buono dal fatto che c’è la coda per entrare; per fortuna il servizio è veloce e la coda si smaltisce in pochi minuti. C’è una vasta scelta di sushi che si possono scegliere singolarmente da una lista, e Aldo ne ordina alcuni; io ancora non me ne intendo abbastanza e quindi prendo un sushi & tempura combo. Abbiamo anche diritto ad un’insalata a buffet. Il ristorante è senza dubbio ottimo, probabilmente il migliore tra i pochi in cui sono stato, ed è anche molto economico. Concludiamo con un sorbetto alla mela verde, quindi Aldo mi dà un passaggio fino a casa. C’è soltanto Zen, che saluto. Prendo la valigia, controllo di non aver dimenticato niente, lascio le chiavi sul tavolo come pattuito e quindi andiamo alla fermata della metropolitana. Saluto e ringrazio Aldo, quindi carico nella farecard l’importo esatto per arrivare a Rosslyn (dove ferma l’autobus per l’aeroporto) e prendo il treno.

A Rosslyn mi accorgo di non avere abbastanza monete per pagare l’autobus, quindi prendo una bibita al McDonald’s per cambiare. Piove, e la tettoia alla fermata diventa gradualmente più affollata. Sorge una discussione sul prezzo dell’autobus, perché a quanto pare pochi hanno capito come funzionano le tariffe a Washington. Questo è un “express bus”, e costa più caro: 3,10$ se pagato in contanti e 3,00$ se pagato con la tessera SmarTrip. Il transfer dalla metropolitana fa avere uno sconto di 90 centesimi, e per averlo bisogna mostrare all’autista l’apposito biglietto che si ritira da una macchinetta nella stazione; bisogna prenderlo alla stazione di partenza, anche se tante volte me ne ero dimenticato e l’avevo preso alla stazione di arrivo e nessuno se ne era accorto. La tessera SmarTrip calcola automaticamente i transfer, per cui non c’è bisogno di prendere i bigliettini. Oltre a questo, ha il vantaggio che consente di farsi rimborsare automaticamente i viaggi dal datore di lavoro; per questo motivo, tutte le persone che ho conosciuto in questo periodo la usano, pagando la tariffa intera (a parte lo sconto di 10 centesimi), invece di prendere l’abbonamento, che costa molto meno ma non si può far rimborsare automaticamente. Io ho l’abbonamento settimanale; non vale per gli express bus ma fa avere uno sconto pari alla tariffa normale, che è di 1,35$ in contanti o 1,25$ con tessera SmarTrip, quindi in definitiva se non ho sbagliato i conti dovrei pagare 1,75$. Come si usa comunemente in America, se non si hanno tessere si paga la corsa infilando le monete o le banconote in una macchinetta sull’autobus chiamata “farebox”, che non dà resto, e questo probabilmente fa raddoppiare il profitto alle aziende di trasporti. Nel frattempo l’autobus arriva, con solo 10 minuti di ritardo. I miei calcoli erano giusti, e mi fanno pagare 1,75$, che è un prezzo onesto, considerando che il viaggio è molto lungo (quasi 1 ora). L’autostrada è ingorgata e andiamo a passo d’uomo, però arriviamo puntuali; si vede che gli ingorghi sono talmente comuni che sono previsti nell’orario.

All’aeroporto cambio il biglietto, pagando la penale di 150$. Faccio il check-in, e il peso della valigia è dentro i limiti. Da qualche parte nell’aeroporto c’è un hangar, di proprietà dallo Smithsonian National Air and Space Museum, dove sono esposti numerosi aerei e veicoli spaziali. Purtroppo è lontano (bisogna prendere un bus navetta per arrivarci) e non ho molto tempo, quindi decido di rinunciare e vado ai controlli di sicurezza che sono spesso molto lunghi. Mentre aspetto l’aereo guardo i vari negozi di souvenir, ma non c’è nulla di interessante. Dopo un’attesa noiosa, ci imbarchiamo.

Pur essendo in classe economica, su questo aereo ogni sedile ha il suo schermo e c’è un’ampia scelta di film e video che si possono far partire e fermare a piacimento. A fare i pignoli il touch-screen non è molto reattivo e spesso il sistema si pianta, ma comunque non mi lamento. Per iniziare guardo “Enchanted”, che è ambientato a New York, e rivedo molti dei luoghi che avevo visitato. C’è Times Square, Central Park, il Columbus Circle (Il protagonista Robert ha lo studio nel Time Warner Center), la metropolitana sopraelevata che fa un rumore infernale, il Woolworth Building ... In seguito guardo “Juno”, che Kellie mi aveva consigliato, ed effettivamente non è male. Le 8 ore di volo non sono eccessivamente traumatiche, e la mattina dopo atterriamo a Monaco.

Mi gratto qualche ora a Monaco, perché i libri sono in valigia, la pila del computer è scarica e mi sono dimenticato di portare il riduttore per le prese tedesche. Prendo l’aereo per Trieste, e all’arrivo l’avventura americana sembra ormai finita, ma non avevo fatto i conti con i controlli doganali, che all’aeroporto di Ronchi notoriamente non lascerebbero passare una mosca. Il doganiere mi fa aprire la valigia, chiedendomi da dove vengo e quanto ci ero stato. Mi chiede che cosa ho comprato, e quando gli dico che in 2 mesi ho comprato solo 6 bottiglie di birra, qualche libro e altre piccole cose di scarso valore, non mi crede e quasi si offende come se lo stessi prendendo in giro. Gli spiego che ero andato per lavoro, e non in vacanza, e mi chiede che lavoro faccio e di cosa mi occupo. La spiegazione non gli basta, ed esamina attentamente il contenuto della valigia facendomi tirare fuori tutto. Stranamente le birre non gli interessano (per fortuna, visto che le avevo imballate accuratamente e non avevo voglia di aprire tutto), e invece guarda attentamente i libri, chiedendomi di che cosa parlano. Purtroppo non so rispondergli, perché non li ho ancora letti. In seguito controlla i vestiti, chiedendomi se sono nuovi o usati. Per la giacca mi crede, invece è convinto che ho comprato la cravatta in America. Fortunatamente posso dimostrare facilmente che è italiana, perché ha il logo della SISSA di Trieste e c’è anche un’etichetta. Terminata la perquisizione della valigia, mi fa aprire la borsa dove avevo messo i vestiti sporchi, e dopo averla controllata attentamente mi lascia andare. Almeno potrò dormire sonni tranquilli, sapendo che le frontiere sono protette alla perfezione da professionisti che lavorano instancabilmente per tenere lontana la criminalità.

Questo conclude il mio diario-blog. Domando scusa se non era sempre aggiornato; purtroppo, in particolare dopo il rientro, avevo un mucchio di altre cose a cui pensare. Adesso è ancora troppo presto per darvi appuntamento al prossimo capitolo, perché ancora non abbiamo nessun viaggio in programma. Ora spetta a voi: commentate!

2 aprile 2008

La misura di stanotte è venuta bene. Ho qualche problema ad estrarre i sincronismi, perché l’esperimento è completamente diverso rispetto ai primi che facevo (non devo misurare livelli di grigio uniformi, bensì dettagli su immagini) e quindi il filtro con isteresi che avevo escogitato e che mi aveva notevolmente semplificato la vita adesso non si può più usare. Devo selezionare a mano i punti sul grafico, ma fortunatamente sono pochi e si fa presto. Il risultato della misura è strano. Il nuovo metodo sembra funzionare alla perfezione, e le misure sono praticamente indistinguibili dalla curva teorica; invece le misure sulle immagini elaborate con il metodo vecchio mostrano un errore per basse luminosità (che ci aspettavamo, ed è quello che il nuovo metodo cercava di correggere), ma anche un errore per alte luminosità che non riusciamo a spiegare. Mando i dati ai colleghi italiani, assieme alla nuova versione del programma in grado di calcolare gli errori di quantizzazione.

Nel pomeriggio c’è un seminario sui model observers. Se ho capito bene, sono dei programmi usati per valutare la qualità delle immagini, e hanno intenzione di usarli per testare il monitor e il mio algoritmo; Aldo me ne parla spesso ma non li ho mai visti in funzione. La qualità nelle immagini mediche ha una significato ben preciso: l’estetica non c’entra, ma quello che importa è che con l’immagine il medico riesca a fare una diagnosi corretta. Per valutare la qualità di un metodo si sceglie un campione di immagini (ad esempio radiografie), in alcune si aggiunge una macchia che dovrebbe simulare un nodulo o tumore e le si elabora con il metodo in esame. Un radiologo poi esamina i risultati cercando di individuare il tumore, e si valuta la percentuale di successo, falsi positivi e falsi negativi; ovviamente un metodo è buono se consente di ottenere un’alta percentuale di diagnosi corrette. I model observers simulano la decisione del radiologo, e tentano di riconoscere se l’immagine contiene o no il tumore esaminandone alcune proprietà statistiche; questo consente di fare molte più prove, perché il programma può girare sul cluster esaminando migliaia di immagini in poco tempo. Il seminario è piuttosto avanzato, visto che parla di un particolare tipo di model observer, ma riesco comunque a capire qualcosa delle basi di funzionamento. Il metodo più semplice, chiamato Hotelling observer dal nome del suo inventore, è un classificatore lineare, simile alle “support vector machine” per intendersi, ma basato su una diversa funzione obiettivo; il piano separatore viene calcolato facendo un addestramento con delle immagini di cui si conosce la classificazione. Il problema è che come dati in ingresso non si possono usare direttamente i pixel dell’immagine, perché l’addestramento sarebbe troppo complesso; è necessario ridurre precedentemente la dimensione dei dati facendo qualche trasformazione, e il metodo così modificato prende il nome di “channelized Hotelling observer”. I metodi più avanzati si basano invece su classificatori non lineari.


Il Display Lab e il nostro prototipo

Anche stasera sull’autobus non c’è Kellie. Chissà che fine ha fatto; la incontravo ogni giorno e poi all’improvviso è sparita. Siccome domani parto, non la rivedrò più e non potrò neanche farle una foto. Incontro invece Jacob, il signore etiope, e facciamo una chiacchierata; gli racconto com’è stata la mia esperienza e quali sono i miei piani futuri, quindi riprendiamo a parlare di informatica. Ci salutiamo presto, perché oggi scendo prima del capolinea; infetti devo andare al centro commerciale per comprare una borsa, visto che le cose che ho comprato non mi stanno nella valigia. Ne trovo una per pochi dollari e la compro. Arrivato a casa preparo i bagagli, imballando accuratamente le birre con sacchetti e vestiti in modo da attutire i colpi. Non posso verificare se rientro nei limiti di peso, perché Ellen non ha bilance in casa; speriamo in bene. Lo zaino (che porterò come bagaglio a mano) è piuttosto pieno, quindi devo mettere i libri in valigia. Significa che in aereo non potrò leggere e mi toccherà grattarmi. Siccome la nuova borsa non ha il lucchetto, ci metto dentro i vestiti sporchi e le cose di scarso valore, così anche se la aprono non è un gran problema.

1 aprile 2008

Oggi avevo in programma di andare alla University of Maryland. Ogni martedì e venerdì organizzano un “walking tour” del campus; mi ero ripromesso di andarci ma non l’avevo mai fatto, perché ci si mette un’eternità ad arrivarci. Purtroppo oggi diluvia e c’è un temporale, quindi rinuncio e telefono a Ted Einstein per salutarlo.

Ormai manca poco alla partenza, e devo decidere che cosa fare negli ultimi giorni. Aldo vorrebbe che scrivessi il manuale per il mio programma, mentre i miei colleghi italiani preferirebbero che faccio altre prove, visto che gli strumenti sono soltanto qui. Concordo con i colleghi italiani, anche perché scrivere manuali è una noia, quindi passo da Aldo per provare il mio programma sul cluster. Lo proviamo e, incredibilmente, funziona. In realtà avevo già provato a compilarlo su Linux e andava, a parte un misterioso warning in fase di compilazione; però i processori del cluster sono a 64 bit, e temevo che ci potesse essere qualche problema con le dimensioni delle variabili. Passiamo quindi dall’amministratore per chiedere un account e mi scelgo un nome utente e una password.

In attesa che mi attivino l’account, preparo delle nuove misure per verificare se il nuovo metodo che ho sviluppato produce effettivamente dei vantaggi. Sarebbe una buona cosa, visto che avevo faticato parecchio per modificare il programma di calcolo. Per fare le prove devo scrivere un nuovo programma che genera la sequenza di immagini, quindi metto in posizione la sonda del radiometro (che negli ultimi giorni avevo usato poco) e faccio partire una veloce misura per vedere se tutto funziona. Intanto l’amministratore passa per chiedermi se l’account funziona; in realtà non riesco ancora a collegarmi, e dopo vari tentativi scopriamo che aveva sbagliato a scrivere il nome utente. In breve tempo lo corregge, e finalmente riesco a collegarmi al cluster. Il programma gira, anche se ovviamente va poco più veloce che sul mio computer perché non è parallelizzato; noto però che impiega molto meno tempo a leggere e scrivere i file su disco. La misura nel frattempo e finita, e guardando i dati mi sembra tutto a posto, quindi prima di andare preparo una sequenza di misure più completa da far andare di notte.

Per stasera, Ellen ha proposto di andare al ristorante con me e Aaron. Come avevamo concordato la mattina, le telefono quando arrivo alla stazione di Silver Spring per decidere dove trovarci. Lei non è ancora arrivata a casa e non ha ancora sentito Aaron, quindi mi suggerisce di prendere la metropolitana e richiamarla quando arrivo a Forest Glen. Sul treno incontro Aaron, quindi richiamo Ellen che passa a prenderci in auto alla stazione. Il locale scelto da Ellen è uno dei più antichi di Silver Spring, fondato addirittura nel 1947, e le pareti sono ricoperte di vecchie foto e cimeli. È un “deli” con un menu tipicamente americano, prevalentemente panini e patatine, e ad essere sinceri non mi ispira un gran che. Dopo una lunga decisione decido di prendere un “seafood combo” che comprende gamberi fritti, filetto di pesce fritto, crabcake (che non avevo mai mangiato prima) con contorno di patatine e salse varie. È piuttosto stucchevole ma non male, e la crabcake è interessante.

31 marzo 2008

Stamattina piove e c’è nebbia. Questo, come è già successo altre volte, scatena il panico: tutti prendono l’auto, il traffico è ingorgato, e gli autobus sono in ritardo. Sono l’unico viso pallido sull’autobus.

Oggi avrei dovuto provare a compilare il mio programma sul cluster, ma Aldo è impegnato con delle visite e non ha tempo per me. Quindi faccio qualche prova su un metodo per la correzione dell’under-adaptation al quale sto lavorando. Per spiegare il problema in parole povere, quando si guarda una zona scura vicino ad una zona chiara, la si vede male perché l’occhio è in parte abbagliato dalla luce proveniente dalla zona chiara; se invece tutta l’immagine è scura, l’occhio si adatta e la vede meglio. Il monitor su cui sto lavorando può riprodurre immagini con zone molto chiare e molto scure, per cui questo problema può capitare e ridurre la visibilità dei dettagli in una radiografia. Per correggerlo, è necessario modificare l’immagine in modo da amplificare i dettagli che risulterebbero poco visibili.

Per pranzo mangio in mensa, perché mi sono stufato delle insalate o dei piatti pronti scaldati nel forno a microonde. Rischio di prendere delle lasagne alle verdure (non ho grandi aspettative ma non c’è niente di meglio), e l’addetta le pesa attentamente con la bilancia per non correre il rischio di darmene qualche oncia di troppo. Come secondo prendo polpette e verdure, per le quali invece ci si serve da soli e si paga a peso. Le lasagne tanto per cambiare sono piccanti (l’unica cosa non piccante sono i cheeseburger), il secondo è sopportabile.

Nel pomeriggio Aldo mi chiede di preparare una breve dimostrazione in laboratorio per i visitatori. Devo quindi ricollegare il monitor al computer (per le prove sull’under-adaptation ne usavo un altro), e naturalmente la configurazione della scheda video si è sballata. Dopo vari tentativi riesco a rimettere tutto a posto, e posso mostrare il monitor in tutto il suo splendore.

Per tornare a casa prendo il solito autobus, ma oggi Kellie non c’è. Chiacchiero quindi con il signore etiope, che si chiama Jacob, e parliamo un po’ di informatica. Mi racconta che quando ha iniziato programmava in Cobol ed era uno strazio; in seguito è passato al Fortran ed era molto meglio. Io invece non ho mai usato il Cobol, e ho soltanto provato una volta il Fortran per curiosità; ho iniziato con il Pascal ma in seguito sono passato al C, che uso tuttora assieme a Matlab e talvolta Assembler. Molti sostengono che il Fortran è più adatto al calcolo scientifico, ma non sono ancora riuscito a trovare una spiegazione soddisfacente del motivo, e neanche Jacob lo sa.

30 marzo 2008

La cena di ieri mi è rimasta sullo stomaco e ho dormito male, quindi oggi sono distrutto. Per fortuna non devo lavorare; infatti, siccome è l’ultimo week-end, abbiamo deciso di andare in giro con Aaron. Il programma concordato è molto interessante: Aaron mi porterà a fare colazione al Cheesecake Factory, poi andremo a visitare la National Cathedral. Dopo si deciderà.

Prendiamo la metropolitana, e dopo 35 minuti di viaggio arriviamo alla stazione di Friendship Heights. Il Cheesecake Factory è una catena di locali (ce n’era anche uno a San Diego ma non sapevo fosse rinomato) che è considerato uno dei luoghi di culto della cucina americana: un menu molto ricco (oltre ai cheesecake che gli hanno dato il nome c’è di tutto), porzioni abbondanti e prezzi contenuti. Anche se sono ormai le 11, è considerata ancora ora di colazione, per cui il cameriere si mostra sorpreso quando ordino un piatto di calamari fritti. Aaron invece prende una omelette ripiena di verdure e formaggio. Il piatto di calamari fritti è ottimo e abbondante, e costa molto meno che al Fritolin di Trieste. In seguito prendo una fetta di cheesecake alle fragole, che è squisito, anche se non enorme come me lo immaginavo dalle descrizioni di Aaron. Accompagno la colazione-pranzo con un ottimo mojito, e riesco a finire tutto, suscitando la meraviglia di Aaron che non mi riteneva capace di una tale impresa.


Il cheesecake alle fragole

Terminata la “colazione”, riprendiamo la metropolitana per andare a visitare la National Cathedral. È piuttosto lontana dalla stazione e fuori dalla mappa tascabile che ho portato, per cui dobbiamo contare soltanto sul nostro senso dell’orientamento. Ci perdiamo, e arriviamo a destinazione soltanto dopo aver fatto una lunga camminata di oltre 2 miglia seguendo un percorso che forse non era proprio il più breve. La National Cathedral è (tanto per cambiare) un edificio moderno in stile finto gotico, iniziato nel 1893 e finito appena nel 1990.


La facciata laterale


Vista dal chiostro


L’interno

Riusciamo a vedere l’interno soltanto brevemente, perché c’è una messa e ci cacciano via. È un peccato perché questa cattedrale ha un notevole interesse scientifico: infatti la foto di una sua finestra viene spesso usata come immagine di prova negli articoli sulle immagini ad alta dinamica. Visitiamo quindi il museo, dove si possono vedere numerose foto, documenti e progetti e leggere aneddoti relativi alla costruzione. Leggiamo che la costruzione e il mantenimento della Cattedrale sono interamente finanziati con donazioni private. Aaron approva la cosa, e mi spiega che si sentirebbe offeso se lo Stato finanziasse una religione di qualunque tipo. Durante la costruzione, molti operai si sono offerti di lavorare gratuitamente.

Aaron propone di andare a cercare il bagno, e ne troviamo uno dentro il parcheggio sotterraneo. Un cartello avvisa che le “main restrooms” sono al piano superiore, ma ci accontentiamo lo stesso. In seguito, Aaron propone di fare una passeggiata nei dintorni, per smaltire la colazione, andando all’avventura visto che siamo fuori dalla mappa. Ci avviamo verso Georgetown.


Wisconsin Avenue, Georgetown

Troviamo un negozio di libri usati e antichi, e dopo qualche minuto di ricerca Aaron (che studia storia) compra un trattato sull’anarchismo. Siccome i prezzi sono ottimi, compro anch’io un libro che mi sembra interessante. Pago con carta di credito, e nuovamente rifiutano il PIN; provo a mettere le prime 4 cifre come suggeritomi dalla banca ma ancora non va, e quindi devo pagare in contanti.

Continuamo a camminare (Aaron pur avendo qualche libbra di troppo è molto atletico) e arriviamo nel centro di Washington. Passiamo dietro alla Casa Bianca, dove ci sono alcuni sparuti manifestanti contro la guerra giusto per fare folklore.


Manifestanti contro la guerra

Riprendiamo la metropolitana; Aaron va a casa e io vado al supermercato a fare l’ultima spesa. Compro alcune bottiglie di Pete’s Wicked Ale, che mi hanno chiesto di portare perché in Italia non si trovano; speriamo che non mi si rompano in valigia. Tornato a casa, preparo una pentola di sugo. Non lo finirò tutto, e lo lascerò ad Aaron ed Ellen che me l’avevano chiesto. Provo ad usare un altro frullatore, ma funziona ancora peggio di quello dell’altra volta, e quindi alla fine mi tocca macinare le verdure con il coltello, il che non è proprio il massimo del divertimento.

29 marzo 2008

Oggi verso le 5:30 di mattina Zen mi sveglia mettendosi a miagolare a squarciagola e grattando sulla mia porta. È senza dubbio la terribile vendetta per il mio ritardo di ieri. Gli do da mangiare, e dopo aver spazzolato il piatto torna a dormire. A volte mi domando se non sia meglio tirargli un calcio nel sedere, che spesso con gli umani funziona meglio di mille parole. Ellen aveva detto di riempirgli la ciotola di croccantini, in modo che abbia qualcosa da mangiare anche se non c’è nessuno in casa, però cerco ovunque e non riesco a trovarli. Comunque non mi pare che gli piacciano, perché ce ne sono ancora nella ciotola e non li ha mangiati.

Stamattina decido di andare a visitare la Basilica of the National Shrine of the Immaculate Conception, segnalatami dal signore che avevo incontrato sul treno. Si trova nel campus della Catholic University of America a Brookland, a poche fermate di metropolitana da Silver Spring.


Il Department of History nella Catholic University of America


L’esterno della Basilica


Il campanile e la facciata

Entro dal piano inferiore, dove si trova un ampio negozio di souvenir che vende ogni genere di paccottiglia e che farebbe invidia a quello di Monte Grisa, quindi salgo al piano superiore. La Basilica è una costruzione moderna in stile finto-bizantino. Effettivamente è molto grande e ricca di marmi e mosaici, per cui può anche suscitare meraviglia, anche se non dice molto a chi ha visto delle vere basiliche bizantine. Non è neanche eccessivamente kitsch, tranne forse in qualche cappella dove i mosaici dorati si sprecano.


La navata


L’altare

Non tutto corrisponde alla descrizione che mi avevano fatto in treno. Non c’è traccia di papi sepolti; ci sono due organi, ma non hanno certo l’aria di essere i più grandi del mondo. Scendo al piano inferiore, dove lascio un obolo alle restrooms. Do un’occhiata alla mensa, che si rivela interessante; decido quindi di pranzare qui, e per circa 10$ prendo una minestra, una bistecca, 2 contorni e una bibita. Il cliente prima di me protesta perché alla cassa gli hanno dato il resto di 10$ mentre lui aveva dato una banconota da 20, ma il cassiere nega e gli mostra la banconota da 10$. Ho così il raro privilegio di assistere al miracolo della divisione dei dollari, molto più difficile della moltiplicazione dei pani e dei pesci, visto che qualunque ingegnere elettronico può confermare che una divisione è molto più complessa di una moltiplicazione. Inizio ad apprezzare la sacralità del luogo, ma i miracoli non si fermano qui: pago con carta di credito e rifiutano la mancia, cosa assolutamente mai accaduta prima in America. Ristorato nel corpo e nello spirito, torno alla metropolitana e vado verso Washington, dove si svolge il Cherry Blossom Festival.

Oggi la metropolitana è più affollata che mai. Cambio alla stazione di Metro Center, e c’è talmente tanta gente che si fa fatica a muoversi, e devo aspettare 3 treni prima di riuscire a salire. Per fortuna tutti scendono alla stessa fermata, e con gran fatica riesco ad uscire. Provo ad andare verso il Tidal Basin seguendo la mappa, ma il ponte che dovrei attraversare non ha il marciapiede, e quindi devo fare un altro giro. Arrivo finalmente al Tidal Basin, e lo spettacolo è notevole: intorno al bacino ci sono migliaia di alberi di ciliegio giapponesi, donati nel 1912 dal sindaco di Tokyo alla città di Washington.


Il Tidal Basin e il Thomas Jefferson Memorial


Ciliegi in fiore


Altra foto del bacino e del Jefferson Memorial


Attenzione, pericolo


Il Washington Monument spunta tra i rami


Ancora alberi


Un albero di un altro tipo nel Franklin Delano Roosevelt Memorial


Ancora il Washington Monument


La chiusa del Tidal Basin

Cammino verso il Jefferson Memorial, costruito nel 1943 in stile finto-neoclassico.


Il Jefferson Memorial


Ancora alberi


E adesso smettetela di rompere che volete foto di donne americane


Panorama dal Jefferson Memorial

Torno verso la metropolitana. Sul National Mall si svolge anche un Kite Festival.


Il Kite Festival


Auto americane

Terminata la visita, riprendo la metropolitana per tornare a Silver Spring. È ancora molto affollata, e il treno rimane bloccato in una stazione per circa 10 minuti a causa di un ingorgo; a quanto pare i treni sono in ritardo perché non riescono a chiudere le porte per la troppa gente. Per cena decido di mangiare una bistecca. Provo un altro ristorante e ordino la specialità della casa, ovvero una New York Strip da 16 once (senza osso) in crosta croccante con funghi e formaggio. Ho la malaugurata idea di prendere una zuppa di cipolla come primo; è piccantissima e mi blocca completamente lo stomaco. La birra, una Flying Dog Ale, è molto buona.


La New York Strip

Dopo cena provo ad andare al supermercato, sperando che sia ancora aperto. Purtroppo è chiuso, ma lì vicino c’è una farmacia aperta 24 ore su 24 e compro il latte. Al resto della spesa penserò un altro giorno.

28 marzo 2008

Prima di andare in laboratorio, vado al Commuter Express Transit Store a comprare l’abbonamento dell’autobus per la prossima settimana. Prendo un settimanale, che è più costoso ma vale anche per i Metrobus.

Oggi facciamo la solita phone conference per decidere le prove da fare con il computational observer. Nella discussione decidiamo che bisogna anche fare delle prove per verificare che il rumore di quantizzazione sia sotto il limite previsto dalla normativa, quindi devo aggiungere al programma una funzione per calcolarlo. Nel pomeriggio è pronto e lo faccio vedere ad Aldo; facciamo alcune prove e disegnamo qualche grafico e istogramma con i risultati. In seguito Aldo mi consiglia alcuni luoghi da visitare nel week-end, che sarà l’ultimo per questo soggiorno.

Ted Einstein mi ha segnalato che stasera c’è un concerto all’Università del Maryland. Mi interessa, e quindi organizziamo per trovarci. Ci diamo appuntamento al laboratorio e andiamo a cena in un ristorante giapponese a College Park. Il locale non ha la licenza per gli alcolici, ma ci dicono che possiamo tranquillamente andare a comprare una birra da un negozio lì vicino e portarla dentro. La cena è molto buona e decisamente più economica che in Italia. Andiamo quindi al Clarice Smith Performing Arts Center, dove c’è il concerto. Si intitola “World Rhythm & Strings” e sul palcoscenico ci sono 4 strumentisti di diverse nazionalità: un’indiana Mohawk (violoncello e canto), un persiano (setar e percussioni), un brasiliano (berimbau, marimba e percussioni) e un africano Mandinke (kora e percussioni). Alcuni pezzi sono un po’ noiosi, ma altri sono molto interessanti; i musicisti sono bravissimi, e in particolare l’africano si esibisce in un assolo di kora veramente notevole. Durante una canzone, invitano il pubblico a salire sul palcoscenico e dire un breve messaggio di pace e speranza nella propria lingua. Molte persone partecipano, e dicono parole in decine di lingue e dialetti, quasi tutti incomprensibili. Sono incerto se andare a dire qualcosa; il triestino ha molte espressioni pittoresche, ma nessuna si può considerare un messaggio di pace e speranza, e purtroppo la canzone finisce prima che mi venga in mente qualcosa.

Torno a casa verso le 21:30. Aaron è ancora fuori (di solito la sera va in palestra e torna tardi), ed Ellen è andata a Providence a trovare dei parenti, per cui Zen non ha ancora cenato. È senza parole, non mi si struscia neanche addosso e si limita a sedersi vicino al piatto guardandomi con aria di sfida.